IVgrado - FRIULI ORIENTALE
MEDACE
Via Normale (Parete Sudest)
relazione: Emiliano Zorzi
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introduzione presente nella guida
Singolare campaniletto roccioso che si innalza slanciato dal ciclopico cumulo di sfasciumi franosi che sostiene il Gran Circo della Grauzaria. La sua via normale è una brevissima scalata di bassa difficoltà che nei tempi passati riscuoteva un certo successo soprattutto fra gli alpinisti udinesi, mentre oggi è praticamente disertata. Nonostante la sua brevità, richiede comunque una giornata considerando l'avvicinamento non breve e con il tratto finale faticoso. La qualità della roccia non è eccelsa ma l'ambiente aperto e selvaggio allo stesso tempo ripagherà delle fatiche nonostante i pochi tiri di corda. Nel corso della ripetizione effettuata in solitaria, risistemante le soste per la discesa. Perché salire fin qua per qualche tiro di corda neanche troppo esaltante: per assaporare la montagna d'altri tempi.
racconto della salita e impressioni
Autunno 2010, una solitaria in tutti i sensi.
Il posto in sé già è solitario, figuriamoci in un mercoledì di fine settembre. Visto che devo fare alcune foto in zona, penso di pigliare due piccioni con una fava: andare sulla Medace. In fondo la guida CAI dice che una volta era una classica gita per i friulani.
Non si capisce bene quanto "quanto classica" possa essere stata una vietta di 100 metri che ha oltre due ore di avvicinamento faticoso.
Siccome so che nessuno vorrà venire con me in cotal posto, eccomi camminare verso il Bivacco Feruglio. Scatto le foto della recentissima e bella Via Flopland, che la gentilezza di Daniele Moroldo mi ha permesso di mettere sulla guida, e proseguo. Il sentierino per il Feruglio è abbastanza selvaggio: qualche trattino dove si devono mettere giù le mani, il passaggio dietro alle enormi lame di pietra, i panorami aperti, ne fanno una bella gita.
Appare finalmente e di nuovo la Medace. È una piccola guglietta ma il colpo d'occhio è bello. Sulla faccia che si vede c'è una ennesima via di Feruglio in fessura. Pian piano appare anche la più articolata parete della normale.
Il sentiero non ci passa lontano ma nemmeno troppo vicino. Scelgo un avvicinamento all'attacco lungo roccette inutili e poi attraverso terreno infido. All'arrivo sulla forcelletta d'attacco per un momento penso che già è stato abbastanza, anche perché non c'è anima viva in giro e il telefonino quasi non prende. Basterebbe già un'unghia rotta per trasformare la giornata in una ritirata dal Don.
Inoltre la parete è bella ripida: le altre (poche) solitarie che avevo fatto salivano per caminetti e canali, sempre in arrampicata chiusa in cui l'occhio (e la testa) si sente più riposata, anche perché una eventuale caduta probabilmente si risolverebbe con un incastro solo poco sotto.
Salgo una prima volta i primi metri dell'evidente rampa, ma la qualità poco salutare della roccia mi fa tornare indietro. Ho con me la corda perché mi è giunta voce (fondata) che scendere non a doppia dalla cima è un problema. Vedendo la salita credo proprio che sia così. Prendo quindi anche il martello, i due chiodi e la cordazza da abbandono ormai compagna inseparabile nelle salite su monti da scoprire.
Armato così di tutto punto salgo un po' più fiducioso. Sulla rampa, che dopo un po' diventa più divertente a dire il vero, incontro anche un chiodo, evidentemente di calata dato il cordino in kevlar (quasi recente!) che ci è attaccato sopra. L'eventuale calata da questo solo ancoraggio non mi rallegra ma in fondo almeno qualcosa c'è.
Pochi metri sopra, su un comodo terrazzino, addirittura un altro chiodo (un po' pietoso a dir la verità). Si vede che era veramente una specie di classica decenni addietro. Dei segni rossi invece neanche l'ombra, o, per meglio dire, solo l'ombra di una scritta incomprensibile all'attacco.
Devo superare ora un gradinetto roccioso di due o tre metri. Niente di ché, ma vuoi la roccia un po' così e spolverata di ghiaia, vuoi il bel buco sotto il sedere, fa sì che il sedere stesso si stringa un po'. In fondo dal chiodo potrei anche calarmi e arrivederci. Dopo qualche tira e molla, e dopo aver pensato anche ad un'improbabile auto-sicura, salgo sopra. Si continua poi per roccette quasi elementari e, al solito un po' infide, fino ad una grossa sosta di calata. Che bene!
Verso destra mi dirigo ad un caminetto, unico posticino in cui le difficoltà sembrano basse: non è che il resto sia impossibile ma senza corda e in scarpe da ginnastica è meglio guardare un po' bene in giro. Un vecchissimo bollo rosso fa capire che si sale di lì. Sarà anche il passaggio "chiave" ma almeno si arrampica appoggiati dentro a qualcosa. Inoltre un cordone intorno a un sasso mi permette di assicurarmi con la "longe" (qualcuno sa come si scrive?). Una volta sopra, naturalmente, i casini vari per staccarla impongono un rischio ben più alto di quello di salire slegati.
Un canalino e la cima. Veramente una cima.
Ora bisogna scendere.
Non c'è nessuna sosta qui. Entra in gioco la cordazza e un grosso e bel spuntone. Merda! Con 25 metri non arrivo alla grossa sosta di calata. Arriverei su una zona appoggiata a non più di dieci metri, ma poi dovrei scendere slegato su terreno così.
Mi calo allora al sasso del caminetto. Altro pezzo di cordazza attorno al sasso, per "integrare" il cordone presente che risente degli anni. Altra calata alla sostazza.
Giù fino al chiodo in mezzo alla rampa. Il chiodo in fondo non è male e altri si devono essere calati, dati i cordini presenti. Comunque per "esagerare" taglio un pezzo di cordazza e incastro un grosso nodo nella bella fessura nei pressi. Collegando il tutto al chiodo ecco una sosta coi fiocchi: roba d'altri tempi per una via d'altri tempi.
A terra raccolgo lo zaino e il resto e mi esibisco (per così dire, visto che non ci sono spettatori) in un traverso su mughi, terra verticale e roccette schifose fino a dove penso passi il sentiero, senza scendere per l'avvicinamentino seguito prima su cui rischierei più che sulla via. Anche il traverso fa un po' vomitare ma almeno termina come sperato sul sentierino non lontano, dove comunque devo scendere qualche trattino con la mia solita tecnica di sedere per evitare scivolate inopportune.
Un passo dopo l'altro arriva il sentiero del Grauzaria e il parcheggio.
Pensare che quelli che venivano da Udine, un tempo, arrivavano in treno a Moggio e salivano a piedi da Moggio! per scalare siffatta guglia!
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